Un nuovo ospite con un nuovo racconto.
Questa volta tocca a Penelope, una mia amica.
Vi auguriamo insieme una buona lettura.
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Laura guardava le scarpe alte nella vetrina di quell’elegante negozio in via Torino.
Era leggermente in ansia, non sapeva di preciso cosa scegliere; dopotutto, non sceglieva per compiacere se stessa.
Quella mattina si era svegliata con addosso il nervoso, perchè erano giorni che aspettava i risultati di un concorso promosso dalla sua università. Il concorso dell’anno, si diceva, i cui vincitori avrebbero sostenuto uno stage per Google. E lei era stanca di aspettare, perchè si era impegnata tantissimo, al punto da saltare il sonno e i pasti per un mese. C’erano trecento partecipanti ancora in gara.
E rimaneva solo un posto da assegnare.
La cosa che la preoccupava più di tutte, era che si trattasse di un concorso affatto meritocratico. I primi due posti erano stati assegnati a ragazzi che, sin dall’inizio dei loro studi, sembravano essere sospinti da qualche “mano invisibile” in tutti gli esami. Dove questa “mano invisibile” erano parenti facoltosi e ben inseriti nel mondo universitario. Ogni volta, nelle varie occasioni, si era vista sorpassare agilmente dalle persone più disparate, perchè il suo lavoro non era mai “abbastanza”, mai apprezzato, mentre altri suoi colleghi ottenevano risultati ottimi con una dose di sforzo esigua.
Laura era stanca.
Più che la vittoria in sé, più che la soddisfazione dei suoi e le possibilità nel mondo del lavoro, avrebbe voluto vincere per togliere l’opportunità a qualcuno che non se lo meritasse. In particolare pensava ad un’altra ragazza, altra “fortunata”, che come principale qualità aveva charme da vendere, e la sicurezza necessaria a far sembrare i suoi progetti estremamente interessanti. O, forse, la parte interessante dei suoi progetti era il suo culo.
Quella stronza di Caterina.
Mentre pensava a tutto questo, aveva bussato con decisione alla porta dello studio del prof. Massafra.
Non sapeva neanche di preciso che cosa dirgli, ma lui era il presidente della commissione del concorso, lui poteva cambiare le cose, e per una volta, lei non voleva farsi sfuggire dalle mani un’opportunità.
– Avanti. –
Laura si prese il tempo di respirare profondamente, poi spinse la porta. Era pesante.
Il professor Massafra era un uomo di mezza età, brizzolato, con una barba corta. Era abbastanza alto, curato, e aveva mani grandi, con cui gesticolava sempre in modo lento e deciso.
La fece accomodare di fronte a lui, su una poltroncina. La sua scrivania era ordinata ma piena di fogli, buste e libri di vario tipo. Laura era palesemente in imbarazzo, guardava in basso, aveva paura di incrociare il suo sguardo. Aveva i capelli sciolti, posati su una spalla.
– Allora, signorina, di che cosa voleva parlarmi? –
Toccandosi il collo, mise insieme un po’ di parole.
– Volevo chiederle del concorso… di Google. In particolare, vorrei sapere se ha dato un’occhiata al mio progetto, se lo trova valido. Sa, è tanto che aspettiamo i risultati e, insomma, –
La interruppe, severo.
-Penso di aver capito molto bene che cosa sei venuta a chiedermi. Innanzitutto, smettila di toccarti il collo, si vede che sei veramente insicura. E per Dio, apri quelle spalle. Tieni il mento alto e guardami negli occhi quando mi parli.-
Laura cambiò posizione. Lo guardava, un po’ attonita, e in fondo con innocenza. Non si aspettava una reazione del genere, e non si era mai sentita così piccola come su quella sedia.
– A me non piace perdere tempo, signorina Di Marzo. – continuò lui – per cui parlerò chiaramente. Mi fa molto piacere che sia venuta a parlarmi del suo progetto, e stavo aspettando che qualcuno si degnasse di agire per farsi valere, visto che nel lavoro, se non ti dai una mossa, non ottieni nulla. Mi spiego?-
-Si, professore. –
– Ma non sarà così facile, e voglio che tu sia chiara quanto lo sono io. Hai intenzione di meritarti quel posto nello stage? –
Laura rispose di si, che era pronta ad impegnarsi, con decisione. Finalmente, pensava.
– Molto bene. Vediamo se è veramente così. –
Massafra si alzò, andò accanto alla poltrona, si appoggiò sulla cattedra. E lei non riusciva a respirare, sentendolo così vicino, con quello sguardo inquisitore.
-Apri le gambe. –
Non si mosse, sbalordita.
-Hai detto che eri pronta ad impegnarti. Apri le gambe, adesso.
Riluttante, Laura scostò le gambe, tenendo le ginocchia leggermente separate. Tremava dall’imbarazzo, e non lo guardava più. Lui sospirò, scocciato, e le aprì le gambe, che facevano una leggera resistenza. Le sollevò la gonna, stretta, e in un attimo le stava infilando le dita sotto le mutandine.
Erano fradice.
Dopo qualche secondo ritirò la mano, bagnata.
-Avevi ragione, hai le carte in regola e ti vuoi impegnare. Le regole saranno queste. Quando sei nel mio ufficio non parli, e soprattutto non urli. Fai quello che ti dico. Chiaro?-
Lei era agitata, spaventata, e non riusciva a darsi un contegno, perchè era eccitata da morire. Stava immobile, con le gambe aperte e le cosce umide. Annuì.
La fece spogliare, mentre la fissava, e piegare sulla scrivania. Rimase così a lungo. Aspettava che smettesse di tremare. Dopo un po’, le ordinò di allungare la mano e di prendere ciò che le stava dando. Nelle mani di lei, che non poteva vedere, era un oggetto allungato e liscio, che vibrava. Ovviamente, le ordinò di toccarsi con quello brevemente, e poi glie lo fece infilare, tutto insieme, nella vagina. Laura tremava e cercava di non gridare, di non fare rumore, mentre godeva e si eccitava sempre di più. Il professore le mise una mano sull’oggetto, spingendolo più in fondo, più forte.
A quel punto, le sensazioni che provava erano tali che non riusciva a contenersi. Sgranò gli occhi, iniziò a muovere la schiena, a ondeggiare il sedere. Massafra, sogghignando, si slacciò i pantaloni.
-Poverina, che fatica non poter urlare. Ma non preoccuparti, ti aiuto io. –
Le tolse il vibratore, la prese per i capelli, e la mise in ginocchio.
-Ripeti con me: “sono una troia”. Ammettilo, quanto ti piace stare ai miei piedi.”
Non riusciva a dirlo, si vergognava troppo. Ma trovò un’altra soluzione.
-Non mi è permesso parlare.-
Il professore sorrise.
-Hai proprio ragione, Laura. Apri la bocca.-
Quando ebbe finito, le prese le guance in una mano, stringendole. Si fece pulire bene con la sua lingua, poi le ordinò di pulire anche il pavimento. La fece vestire.
– Adesso vattene. Torna qui giovedì alla stessa ora, e vedi di metterti delle décolleté. Non tollero altre scarpe nel mio ufficio.
Fuori pioveva. Passando nel corridoio, sentiva i passi degli altri studenti che si attardavano a studiare in classe dopo le lezioni.
Incrociò Caterina, salutandola con un cenno. Lei, in tutta risposta, si voltò dall’altro lato.
Laura aveva del mascara colato sotto gli occhi, i vestiti stropicciati. Ma il motivo, insospettabile, lo sapeva soltanto lei.