Un nuovo racconto di Giuseppe per Plug the Fun.
Qualche mese fa ci aveva fatto leggere la sua prima fantasia “Come in un film porno“…
Oggi vi facciamo leggere la sua seconda storia.
Buona lettura
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Lavoravo in quell’azienda metalmeccanica da circa un anno.
All’inizio ero timido, molto sulle mie, anche un po’ spaventato per il nuovo ambiente che quotidianamente mi accingevo ad affrontare. Poi via via il ghiaccio si era sciolto. Con i colleghi avevo stretto amicizia, tanto da trovarci molto spesso fuori a bere qualcosa in compagnia, finché non fece la sua comparsa lei, la figlia del mio titolare. Una donna sulla cinquantina, occhi azzurro cielo, bassa ma con un fisico tonico e in forma che ricordava le curve di una ragazza della metà dei suoi anni. Capelli tinti rossi e ricci.
Insomma in poche parole un bocconcino niente male.
Tutti la mattina si mettevano in posizione davanti alla macchinetta del caffè, che si trovava proprio in prossimità della porta di entrata in azienda, e quando passava lei …accidenti… tutti quanti stavano zitti o sogghignavano.
Non c’era giorno che non fosse vestita di tutto punto: tailleur, cravattine, vestiti scosciati, pellicce e tacchi alti, insomma in poche parole voleva farsi notare.
E ci riusciva benissimo! Non c’era un singolo dipendente che non avrebbe voluto farsela di brutto.
Chi a pecorina, chi in due alla volta, chi voleva scoparsela direttamente sui banchi da lavoro dell’officina.
Diventò la mia diretta superiore, e mi fu detto dall’amministrazione che avrei dovuto aiutarla a gestire la mole di lavoro direttamente nel suo ufficio.
Quando lo seppi scoppiai di gioia e subito iniziai a fantasticare (da giovane recluta inesperta) su come sarebbe stato lavorare con lei e passare le giornate a guardarla di nascosto mentre svolgeva i suoi compiti.
Il primo giorno nella mia nuova mansione mi presentai nel suo ufficio prima che arrivasse, sistemai le mie cose, il mio computer e aspettai impaziente che arrivasse; verso le 8.30 lei arrivò.
“Buongiorno Carla, mi presento mi chiamo Andrea e…”So perfettamente chi sei, non c’è bisogno che ti presenti” disse lei con aria seria guardandomi dritto negli occhi.
Iniziai a sentirmi un po’ a disagio “Ah… Ok mi fa piacere che l’abbiano già informata del mio arrivo… mi metto subito al lavoro. Cosa devo fare?”
Mi sedetti.
“Per prima cosa esigo che domani ti cambi di abito. Nel mio ufficio giacca e cravatta, niente maglioni, tute o altre schifezze simili” mi rispose seccata.
“M… Mi scusi… Non accadrà mai più” abbassai il capo in segno di vergogna.
“Bravo, ora prendi questo plico di fogli e fotocopiamelo. Poi vedremo pian piano come dividerci i compiti”.
Da quel momento mi presentai ogni singolo giorno tirato a lucido: scarpe eleganti, completi firmati (per quello che potevo permettermi), cravatte e via dicendo, ma lei trovava sempre il modo di criticarmi: barba fuori posto, capelli non pettinati a dovere, e via così…
Iniziai a pensare che ci provasse gusto nel trovare inestetismi in me, e ogni volta mi diceva di stare un’ora o due in più a lavoro, come penitenza per i miei sbagli, che però stranamente non riguardavano la mia mansione.
Il punto critico lo raggiunsi un venerdì mattina di settembre, quando come sempre mi presentai puntualissimo in orario, ma come al solito appena entrata e dopo avermi squadrato mi disse: “non mi va bene che tu non ti pulisca le sopracciglia e poi ti presenti qui. Che figura faccio io con clienti e fornitori che ti vedono?”
A quel punto sbottai “Carla non posso venire trattato così!!! Lei non può permettersi di darmi ordini sulla mia igiene personale!!! Non posso pensare di essere così tanto criticato ogni giorno… Se non le vado bene che si cerchi qualcun altro da calpestare, ma l’avverto che se prenderà una simile decisione mi rivolgerò ad un sindacato e chiederò i danni per mobbing”
Lei rimase composta, mi guardò con aria di sfida e per nulla preoccupata mi rispose in modo pacato ma al contempo inquietante: “Adesso siediti e torna al tuo lavoro. Domani mattina ti voglio qui alle 7.30 dobbiamo parlare del tuo comportamento”.
Mi prese alla sprovvista con quella risposta, a tal punto che le obbedii.
Ero parecchio turbato dalla cosa perché il giorno dopo era sabato e in azienda non c’era nessuno, essendo giorno di riposo. La cosa mi scocciava da morire.
La mattina seguente, controvoglia, mi presentai all’orario stabilito.
Quando arrivò, lei non proferì parola ma appoggiò sulla sua scrivania una pesante borsa da palestra; la guardai con aria stranita e disorientata, e subito dopo lei diede due mandate di chiave alla porta dell’ufficio.
Vestiva con un abito a tubino rosso fuoco, tacchi alti a spillo neri con laccio sulla caviglia e una giacca nera, profumata a più non posso e con rossetto rosso alle labbra.
Lo ammetto, per quanto fosse bizzarra la situazione lei era veramente da urlo.
“Se vuoi salvarti da una vita infernale qui dentro e vuoi mantenere saldo il tuo lavoro, ti consiglio vivamente di fare tutto quello che ti dirò, senza obbiettare”
“No Carla aspetti un attimo… Cosa sta succedendo qui?!”.
L’agitazione stava salendo dentro di me.
“Obbedisci o giuro che non avrai futuro qui”
“Ma io…”
Non mi fece finire, mi afferrò per la cravatta ed essendo più basso di me mi portò alla sua altezza per farmi sentire la sua forza.
Il panico adesso aveva preso il sopravvento, non sapevo che fare.
Da una parte volevo farmi valere, ma dall’altra la figlia del mio titolare mi stava praticamente picchiando.
“Dammi i polsi” disse lei a denti stretti, mentre mi teneva la cravatta con la mano sinistra.
Obbedii porgendole entrambe le mani. Lei con la mano destra estrasse dalla borsa un paio di manette in acciaio e dopo avermi mollato me le serrò alle mani.
“Carla la prego…”
“Zitto!!!” mi assestò un forte schiaffo su una guancia.
“Volgiti verso il muro e divarica leggermente le gambe”.
Lo feci, coi lacrimosi agli occhi per la sberla, ma lo feci.
Sentii un rumore metallico e in men che non si dica mi chiuse un paio di cavigliere da carcerato alle caviglie.
“Ora mi piaci di più” disse sogghignando.
“Carla per favore mi stai umilia…” ancora un colpo, stavolta sul sedere e fece male.
“Non mi risponderai più così, nessun uomo mi ha mai offeso come hai fatto tu l’altro giorno, voglio ridurti al silenzio, voglio che tu sia il mio animale da soma qui dentro!”.
Estrasse così un bavaglio a pallini, di quelli che si vedono solo nei film porno bondage e me lo chiuse diretto in bocca nonostante le mie resistenze.
“Oggi lavorerai al computer in questo modo. Se ti azzardi anche solo una volta a ribellarti ti punirò come meriti”.
Così mi prese per un braccio, mi sedette a forza davanti alla mia postazione, poi mi slacciò la cravatta e mi aprì il colletto della camicia.
“Non ti è permesso andare in bagno, ne bere caffè o altre cazzate del genere. Voglio assicurarmi che tu faccia il bravo” e mentre diceva questo tirò fuori dalla borsa un collare in cuoio con chiusura a lucchetto sulla nuca, me lo strinse al collo, lo chiuse e collegò una catena di circa un metro e mezzo alla scrivania.
Ero nel pallone più totale, totalmente umiliato e ridotto al silenzio.
Decisi di seguire i suoi ordini, poi cercando di ragionare il più possibile pensai che approfittando di un suo momento di distrazione avrei chiamato la polizia e avrei cercato di dire qualcosa in qualche modo.
Già dopo mezz’ora la mandibola mi faceva malissimo e iniziai a sbavare forte sporcandomi i vestiti, lei mi guardava ridendo mentre goffamente cercavo di utilizzare la tastiera e il mouse combinando solo disastri.
Lei mi guardava divertita, con un sorrisetto maligno stampato sulla faccia.
“Stai facendo solo dei casini. Guarda come hai ridotto i tuoi vestiti. Sei veramente un gran sporcaccione”
“mmmmmmfgh… mmmmmhhhh!!!”.
Il bavaglio mi impediva qualsiasi tentativo di comunicazione verbale.
“Hai bisogno di qualcuno che ti dia qualche dritta”.
Si alzò in piedi, venne verso di me e si mise a sedere sulla scrivania, spostando lo schermo del pc e la tastiera, mi tolse il collare lasciandolo cadere rumorosamente a terra, poi aprì le gambe e sollevò la gonna.
Davanti a me si trovava la mia responsabile, a gambe aperte senza mutandine che mi mostrava la sua vagina totalmente depilata e leggermente bagnata.
Quella visione scatenò in me una fortissima eccitazione, mai mi era capitato di essere provocato a quel modo; le mie membra stavano tremando per la voglia.
Dopo avermela mostrata, mi tolse il bavaglio dicendomi: “adesso me la leccherai tutta finché non sarò io a dirti di fermarti, qualunque cosa accada se vorrai rivolgerti a me dovrai chiamarmi Madam”
“Si…”
“si cosa?”
“si Madam”.
Mi afferrò per la nuca e spinse la mia bocca con forza sulle sue labbra bagnate, leccai con forza e in quell’istante la cosa iniziò a piacermi, il mio pene iniziò ad indurirsi.
Di colpo quella che era iniziata come una vera e propria violenza sessuale, si stava trasformando in qualcosa di molto appassionato.
“Lo sapevo che eri bravo… mi stai facendo impazzire… non fermarti piccolo porco mio!!” gemette lei.
Con la mia bocca piena dei suoi umori la sentii gemere forte. Poi toccandosi il clitoride mentre leccavo venne gridando come una vichinga. Era l’apoteosi della donna forte e piena di sessualità, che dopo tanto tempo mostrava tutta la sua forza e la sua gloria.
“Stenditi a terra”
“i Madam”
Mi stesi a terra supino con le mani alzate sopra la mia testa, lei si mise in piedi alla mia destra e in men che non si dica mi infilò in bocca i suoi tacchi.
Iniziai a succhiarli con forza, sentivo in bocca un leggero sapore di polvere e terra ma adoravo quella pratica. Nessuna donna con la quale fossi stato prima aveva mai osato tanto.
Leccai le suole, i bordi di quelle fantastiche decoltè nere lucide tacco dodici, poi con cattiveria mi pestò i pantaloni all’altezza dei testicoli facendomi urlare.
La pressione che esercitava sui miei testicoli era tantissima.
“sento che è bello duro e che vuoi svuotarlo. Vero porco?!”
“Si Madam… voglio mostrarle la mia crema”
“vorresti semmai” rispose ridendo.
Mi slacciò i pantaloni lasciando il mio duro pene al vento, poi si sollevò la gonna all’altezza della vita, si tolse la giacca, si accovacciò e lo infilò senza sforzi dentro di lei.
Saltava sulle ginocchia, si piegava, allungava le mani sul mio collo stringendo forte e tentando di soffocarmi per aumentare il piacere. Godevo come mai in vita mia prima di allora.
“Che bel giocattolo che hai”
“é solo per lei Madam”
“Adesso vedi che imparerai la lezione”.
Infilò le dita della mano destra nella mia bocca, ordinandomi di succhiare come se fossi la sua troia, mentre controllava perfettamente il mio godere coi suoi movimenti, entrando e uscendo pian piano riusciva a non farmi raggiungere la soglia del piacere estremo.
“ora suppongo che vorrai venire, vero piccolo verme”
“Si Madam lo desidero tantissimo”.
Aumentò il ritmo di cavalcata, urlando e gemendo come una puledra e io facevo esattamente la stessa cosa.
Ero sul punto di venire, ormai il mio cazzo diamantato non resisteva più, ma fu in quel momento che mi punì, mostrando la sua vera potenza: si staccò improvvisamente dal nostro strano abbraccio, si alzò in piedi e mi guardò mentre io sbigottito e sensibilmente frustrato rimanevo li, mezzo nudo come un verme ad aspettare la fine di quella meraviglia.
“Oggi hai imparato che io posso fare di te e del tuo corpo tutto ciò che voglio, ora ho il pieno controllo del tuo orgasmo” mi disse lei sistemandosi i vestiti.
“Madam la prego non può farmi questo…”
“Io faccio di te esattamente ciò che mi pare e piace, ribadisco! Non ti sei opposto, eppure io avevo tutte le intenzione di violentarti dal primo momento in cui ti ho visto… pensi di essere un maschio sicuro e indipendente, ma in realtà davanti al potere di una donna con la D maiuscola come me, ti ritrovi a strisciare e ad obbedire anche alle cose peggiori”
“Madam non capisco”
“Alzati”disse lei. Mi alzai per quello che mi consentivano le manette e le catene alle caviglie, lei nel frattempo estraeva il mazzo di chiavi che mi avrebbe liberato dalla mia prigionia.
“Immagino che adesso ti aspetti che ti liberi” disse scuotendo le chiavi davanti alla mia faccia.
“Si Madam”
“Non ora. Adesso ti rimetterai a posto i pantaloni per bene, ti risiederai alla tua scrivania e io ti metterò di nuovo al guinzaglio. Solo alla fine della giornata lavorativa verrai rimesso in libertà”.
Non dissi niente. Eseguii alla lettera tutto quello che mi aveva chiesto senza fiatare.
Mi rimisi alla mia scrivania, fui rimesso alla catena e tornai al mio lavoro per tutto il giorno fatta eccezione per la pausa pranzo, durante la quale la mia carceriera mi fece mangiare un panino in ginocchio al fianco della sua sedia, mentre mi accarezzava i capelli dolcemente e parlava al telefono con una sua amica di quanto fosse stato difficile il lavoro quel giorno.
Alla sera, verso le 18.00 mi liberò da tutte le mie restrizioni.
“Oggi sei stato un servo impeccabile, i maschi come te cadono tutti ai miei piedi. E tu non hai fatto eccezione. Ti aspetto lunedì sempre alla solita ora e per favore metti a posto quelle sopracciglia… Ah e puoi tornare a chiamarmi Carla se lo desideri”
“Sarà fatto Carla”
“Bravo torniamo ai soliti ruoli. Guai a te se ti farai scappare anche il minimo dettaglio su quello che è accaduto oggi”
“Non si preoccupi” stavolta non avevo il minimo dubbio che non l’avrei fatto.
“Arrivederci Carla”.
Mentre stavo per uscire lei mi girò dandomi un bacio con la lingua, facendomi di nuovo eccitare come non mai.
Varcai la soglia dell’uscita e andai verso macchina. Ero stanco, intimorito ma al contempo felice.
Il lunedì successivo mi presentai di nuovo con le sopracciglia scomposte, sapevo perfettamente che non me l’avrebbe mai fatta passare liscia.