Un nuovo ospite con un nuovo racconto.
Questa volta tocca a Claudio (il secondo uomo a mandare un racconto erotico), un’altro mio follower di Instagram.
Vi auguriamo insieme una buona lettura.
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“Per la prossima volta continuate a fare esercizi sul capitolo 5 e studiate il capitolo 4 che ne interrogo due a caso”.
Nessuno degli studenti si era segnato alcunché e al suono della campanella erano schizzati in piedi per correre a casa.
Io non avevo particolare fretta e da un po’ il bagno richiedeva la mia attenzione.
Passai svariati minuti in bagno, durante i quali la scuola si svuotò quasi completamente.
Uscii allacciandomi la cintura e mentre guardavo quale foro dovessi utilizzare notai delle scarpe nere e lucide che stavano davanti a me. Alzai lo sguardo e una ragazza alta qualche centimetro in meno di me mi fissava intensamente.
“Ti serve qualcosa Giulia? È successo qualcosa?”
Continuava a fissarmi come se fossi un quadro.
“Beh?” Lei si girò, andò verso la porta del bagno e la chiuse a chiave.
“Le fortune di conoscere le debolezze delle persone che lavorano qui”, disse infilandosi la chiave nel taschino della camicia.
Indossava dei pantaloni troppo attillati, neri e la camicia era da boscaiolo, rossa e nera.
“Che cosa stai facendo?” Domanda stupida, c’erano due opzioni: provare ad uccidermi oppure a…
Non finii di pensare che mi era salita sulle scarpe e mi aveva stampato in bocca un bacio.
Profumava di biscotti. Mi allontanai facendola quasi cadere, se non fosse che l’afferrai per un braccio e la riportai vicino a me. Grave errore. Si avvicinò alla mia faccia, senza fare o dire nulla.
Io ero immobile, non riuscivo, o forse non volevo, fare niente.
Il profumo di biscotti mi stava dando alla testa? Che razza di profumo è, poi, un profumo ai biscotti?
Lei aprì leggermente la bocca, si avvicinò a me e all’ultimo cambiò direzione, andando verso il collo. La lingua formava delle linee che partivano dall’orecchio e finivano alle clavicole, ogni tanto si interrompevano e lasciavano spazio a tracce di morsi.
Non so se fossero passati due minuti o due ore, ma sembrava un’eternità quando ritornai cosciente della situazione e la bloccai di nuovo.
Lei si passò la lingua sulle labbra tenendo lo sguardo fisso sul mio.
Avevo qualcosa da perdere? A parte il posto da insegnante e la reputazione.
Lei mi sussurrò all’orecchio che non lo avrebbe scoperto nessuno.
“E la persona a cui hai preso la chiave?”
“Pensa mi stia facendo una canna in bagno”
“Dev’essere bella grossa se ci devi mettere tutto questo tempo”
“Dipende, quanto ce l’hai grosso?”
“Ehi! Sono il tuo insegnante!”
“Ha ragione. Quanto ce l’ha grosso, signore?”
Ero allibito. Dovevo avere la bocca aperta perché lei me la richiuse con un dito mentre si abbassava e faceva scendere il dito verso il basso insieme a lei. Finì in ginocchio e con le mani sulla cintura che non avevo ancora finito di allacciare. Sbottonò la patta, sollevò il maglione, il giusto per poter infilare le mani dentro, e mi abbassò i pantaloni.
Le parole “quanto ce l’ha grosso, signore” continuavano a risuonarmi in testa e cominciavo a sentirmi in modo strano. Guardai in basso e mi accorsi che anche le mutande si erano abbassate.
“Non ha mai avuto problemi di autostima eh, signore?”
Io ero muto.
Lei lo divenne mettendosi in bocca piano piano tutto il cazzo. Aveva la lingua di fuori e ogni centimetro che ingoiava veniva prima bagnato dalla lingua. Quando arrivò in fondo stette ferma per qualche secondo e alzò lo sguardo verso di me, poi se lo tirò fuori.
Mentre passava la mano su tutto il tronco e la punta mi guardava.
La presi per il mento e la feci mettere in piedi. La sua mano non aveva mollato la presa. Le afferrai la testa con entrambe le mani, la avvicinai a me e la baciai. Lei non aveva interrotto quello che stava facendo, anzi, aumentò la velocità e un piccolo sbuffo mi uscì per sbaglio. Lei accennò un sorriso e aumentò ancora, poi lasciò. Con l’altra mano prese la mia e la portò ai suoi pantaloni.
Le sbottonai i jeans e provai a tirarli giù. Erano veramente troppo attillati e mi dovetti chinare.
Quando tornai su lei fece un passo indietro, con la mano pulita tirò in avanti le mutandine e infilò l’altra mano dentro. Mi avvicinai per toglierle le mutandine, lei mi fermò con un dito e mi disse “mi scopi sul lavandino, la prego”.
Le tirai giù le mutandine alla velocità della luce, la sollevai un po’ e la misi a sedere sul ripiano dietro di lei.
Mi avvicinai a lei e la baciai. Lei mi afferrò il culo e mi strinse a sé. Mi aiutai con la mano ad entrare. Era stretto, ma non troppo.
Il lavandino era freddo e creava uno strano effetto sulle mie cosce che ci sbattevano. Aumentai il ritmo e lei cominciò a mugolare mentre ci baciavamo. Mi mise le mani sulle scapole e, dopo essersi tolta una delle scarpe, mi avvolse mettendomi i piedi sul culo.
Dopo alcuni minuti mi disse che voleva cambiare posizione. Scese dal lavandino, io la girai, lei appoggiò le mani al muro e mi avvicinai per infilarmi di nuovo dentro di lei. Una volta entrato misi una mano sotto la maglia e arrivai a slacciarle il reggiseno, che finì per terra. La mano passò davanti e afferrai il suo seno.
Era uno di quei seni che stanno in una mano e i capezzoli erano turgidi. L’altra mano intanto era a stimolare il clitoride. Ansimava. Ansimavo anche io.
Tra uno sbuffo e l’altro disse “non mi venga dentro”. Ansimava sempre di più, la presi per i fianchi e aumentai il ritmo a dismisura. Cercai di resistere finché non fosse venuta prima lei. Quando sentii quel suono uscire dalla sua bocca, quasi fosse una melodia, aumentai ancora il ritmo. Un attimo prima di finire lo tirai fuori, lei si girò e si inginocchiò. Con la mano teneva lo stesso ritmo che stavo tenendo io e puntava alla sua faccia.
Riuscii a fatica a dire “sei sicura?” che lei mi fece un grosso sorriso e chiuse gli occhi e io dovetti trattenermi dal fare versi. Mentre ci rivestivamo non dissi nulla, alla fine lei mi guardò, sorrise e mi chiese “professore, lei per caso dà delle ripetizioni a casa sua?”.
Non aspettò la risposta, aprì la porta e se ne andò, lasciandomi da solo in bagno.