Eccoci con una nuova intervista con tema sadomaso, questa volta Marina è la protagonista e ci racconta il punto di vista di chi fa da bottom, ovvero la persona che sta sotto, che sia sottomessa, schiava, masochista o un po’ tutto assieme….
Se volete leggere le precedenti interviste eccovi qui quella di Ayzad, uno dei più conosciuti esperti di BDSM in Italia.
Ho anche intervistato Anna, ragazza disabile e mamma di Ahh sì, uno shopping on line di sex toy e oggetti per il bdsm.
Con le ultime due interviste di Shakner e Claire Delacroix abbiamo portato l’attenzione sul Master e sulla Mistress, ovvero coloro che conducono il gioco da Top.
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Chi è Marina e come si è avvicinata al bdsm?
Sono sempre stata una persona curiosa, abbastanza fuori dagli schemi, aperta al confronto e con molta voglia di sperimentare cose nuove, sia nella vita di tutti i giorni che nella sfera sessuale. Non ho avuto, però, fino ai 29 anni, alcuna fantasia legata al dolore: non mi reputo una masochista nel senso stretto del termine.
Mi era capitato di trarre particolare piacere dall’idea di essere in qualche modo dominata, tra le lenzuola, ma la cosa aveva sfumature molto blande rispetto a quello che faccio oggi.
Nel 2008 ho conosciuto una persona con cui ho avuto una relazione durata circa un anno: lui aveva molta esperienza come Master, e ha cominciato a spiegarmi le dinamiche delle sue precedenti relazioni Dom/sub. Io ero rapita dai suoi racconti e mille domande mi turbinavano in testa. Poco dopo l’inizio della nostra frequentazione, ho manifestato il desiderio di provare, e grazie alla sua abilità nel salire gradatamente di intensità di sessione in sessione, nel giro di alcuni mesi mi ha portata a subire “punizioni” anche molto dure.
Non avrei mai pensato che una cosa del genere potesse fare per me. Invece l’esperienza si è rivelata catartica, e successivamente alla nostra rottura, ho deciso di continuare il mio percorso sulla scena milanese.
Presenziando ad eventi quali il Sadistique, o ad aperitivi dedicati al tema BDSM, ho avuto l’occasione di conoscere molte persone (alcune, ad oggi, amici preziosi), e ho vissuto pienamente quella che finalmente ho imparato a riconoscere come la mia natura.
E’ sorprendente quanto non fossi consapevole delle mie attitudini, prima di entrare in contatto con questo mondo.
Per quanto mi riguarda, credo che chiunque abbia un’indole sessualmente un po’ più dominante o un po’ più sottomessa, potrebbe, se esposto ai giusti stimoli e correttamente guidato, sublimare, in qualche modo, fino a spingersi oltre i confini che la società traccia per noi, definendo cos’è e cosa non è il sesso “normale”.
Sei d’indole sottomessa, ma nella vita di tutti i giorni sei una persona abbastanza decisa e dominante nelle tue scelte… raccontaci un po’ questa tua dualità…
Si, chi mi conosce sa che ho un bel caratterino! Tendo ad occupare socialmente il ruolo del leader, e le mie posizioni sono quasi sempre espresse con decisione.
Ma rispetto alle mie tendenze nel BDSM, sono convinta che questa dicotomia più che un’anomalia, sia quasi la consuetudine.
Pur non sottraendomi alla mia predisposizione naturale, io ne sento molto il peso e la responsabilità.
E di questo peso, di questa responsabilità, mi libero, quando cedo il controllo.
Superficialmente può apparire una contraddizione: in realtà lo spazio del gioco diventa il luogo della mia mente in cui sono finalmente libera di non dover gestire, il luogo in cui posso delegare, abbandonarmi, affidarmi.
E’ una condizione mentale che mi appaga e mi riequilibra profondamente, ed è talmente importante, addirittura fondamentale per me, che posso dire sia il primo motivo per cui gioco. Quando mi chiedono perché lo faccio, la mia risposta, immancabilmente, è “per liberarmi dal libero arbitrio”.
Sei anche d’indole masochista, come racconteresti a un “estraneo” al bdsm il tuo rapporto col dolore?
Come accennavo all’inizio, non nasco come una masochista pura: per me il dolore era una sorta di effetto collaterale della dominazione. Ma col tempo è diventato una parte imprescindibile delle mie sessioni.
Superare i miei limiti mi gratifica. In realtà il dolore ha molte sfaccettature: a volte mi permette di dare corpo a frustrazioni o sofferenze interiori, di sfogarle attraverso le lacrime. Col tempo mi sono accorta che è utile anche per la mia autostima… Mi fa sentire in grado di affrontare situazioni difficili di tutt’altra natura.
C’è poi un’erotizzazione che si crea con il tempo: gradatamente il cervello comincia ad associare la somministrazione del dolore agli stimoli di natura eccitante che vengono dati da chi domina, e quando questo avviene in modo sistematico, il corpo finisce con il reagire al dolore con tutti i “sintomi” dell’eccitazione sessuale. Il che, quando si gioca con il partner, è motivo di enorme soddisfazione per entrambi. Fare sesso dopo una sessione, usare il dolore come preliminare, può diventare un’esperienza davvero totalizzante.
In fine credo sia necessario citare anche il gioco endorfinico che in alcuni casi procura stati di grande piacere, dopo una sofferenza inflitta con maestria.
Se una o un sottomesso ti chiedesse “come posso iniziare? Da dove si inizia?” cosa gli consiglieresti?
Indubbiamente, sia che abbia già avuto esperienze in una relazione, sia che stia approcciando per la prima volta il BDSM, suggerirei di partecipare agli aperitivi e ai munch: si tratta di occasioni molto piacevoli, in luoghi pubblici e che non richiedono alcuna esposizione: permettono di conoscere gente, confrontarsi, chiacchierare delle esperienze altrui, informarsi, avere un punto di vista personale sugli eventi, sulla scena in generale, sulle diverse pratiche… Se poi si è molto convinti delle proprie pulsioni, e non si è intimoriti dall’idea, perché no… Anche un play party può essere valutato! Cercate online quelli più conosciuti e affermati, leggete bene sui siti le modalità di partecipazione (tessere dei club, dress code, etc.) e buttatevi!
I dungeon monitor sono sempre disponibile a presentarvi persone in gamba e a farvi sentire a vostro agio.
Un altro aspetto su cui mi sentirei di dare consigli è quello della sicurezza: mai giocare con persone sconosciute o sulle quali non si hanno feedback, mai incontrare direttamente in luoghi privati chi abbiamo conosciuto solo online, stabilire sempre, all’inizio di un’interazione, i propri limiti, parlare delle proprie paure… In generale comunicare il più possibile. Credo che l’ideale per i neofiti sia praticare solo con qualcuno che si ha prima conosciuto e con cui si è sviluppato un feeling profondo, un rapporto di fiducia. L’utilizzo di una safeword, particolarmente nelle prime fasi di un rapporto, è imprescindibile.
Attenzione: non sempre chi si vende come esperto, lo è davvero.
Infine: non forzate… siate voi stessi. Ascoltate. Ascoltatevi. Andate piano, e andate in alto. Sarà un gran bel viaggio.
Quali sono le pratiche che ami di più e perchè?
Ci sono diverse pratiche che non ho mai imparato ad apprezzare davvero… Tutte le forme di dolore piatto, ad esempio. Invece sono una vera fun di corde (in particolare amo la sensazione della sospensione) e di fruste singletail: non disdegno gatti, flogger e frustini, ma la mia vera passione sono le bullwhip (la frusta di Indiana Jones, per intenderci), e la loro capacità di procurare un tipo di dolore acuto e di lasciare segni profondi e definiti. Amo molto sentirli addosso per tanto tempo dopo la sessione, e tornare con la mente al momento in cui sono stati fatti, ogni volta che ci passo le dita sopra, o che li sento sfregare contro i vestiti nella vita di tutti i giorni.
A queste due attività posso poi associare anche cera calda, pinze per i capezzoli o ai genitali, e alcuni elementi che comportano un certo grado di umiliazione (la gag ball, il morso, simile a quello usato per i cavalli, o anche semplicemente dopo essere stata legata in pubblico, il venire esposta in modo molto osceno.)
La componente di dominazione mentale è comunque più importante della pratica in sé, forse: se avessi un rapporto molto intenso e profondo con qualcuno che ama il cane (canna di bambù), ad esempio, credo che lentamente comincerei ad appassionarmici, nonostante sia uno strumento che mi mette in difficoltà.
Questo ad oggi.
Ma se c’è una cosa che mi è molto più chiara ora, rispetto a quando ho cominciato, è… Mai dire mai!

Ti sei mai trovata in situazioni “pericolose”?
Non mi è mai capitato di essere oggettivamente in pericolo: ho sempre seguito buonsenso e logica nel decidere di mettermi nelle mani di qualcuno.
Mi è però successo di venire quasi “bruciata” (in gergo, quando il dominante esagera, spingendosi troppo oltre il confine del sottomesso, e causando una successiva chiusura, un timore di ripetere l’esperienza). Mi trovavo con la persona con la quale ho iniziato questa avventura: ci conoscevamo ormai benissimo, e il nostro rapporto era estremamente intimo, basato su una grande fiducia, e a quel punto, in alcune situazioni, giocavamo senza l’uso della safeword.
Mi ha sottoposta alla sessione più dura della mia vita, che è andata molto oltre i miei limiti… Per quanto serbi un ricordo potente del senso di gratificazione successivo, devo ammettere che in qualche modo un po’ di trauma psicologico c’è stato, e che per un certo periodo non me la sono sentita di mettermi ancora nelle sue mani.
Mi è capitato poi, in una sessione di bondage, con un rigger (colui che lega) di gioco che non conoscevo bene, un piccolo danno ad un nervo, recuperato nel giro di un paio di giorni.
Non finirò mai di raccomandare, comunque, di non incontrare persone di cui sappiamo poco, in situazioni private: questa è la condizione fondamentale per evitare di trovarsi nei guai.
I tuoi amici sanno che fai bdsm? Se si, come glielo hai raccontato?
Praticamente tutti i miei amici sono a conoscenza delle mie attività: ne parlo tanto e volentieri perché credo che ci siano ancora molti tabù, e la gente può imparare ad accettare e non discriminare gli altri solo se si rende conto che siamo persone normalissime, non strani esseri con quattro gambe e sei teste!
E magari chi ha una pulsione di questo tipo, invece di soffocarla, e negarla, parlando con chi vive la cosa serenamente avrà occasione di smettere di autocensurarsi.
Affronto l’argomento sempre con grande naturalezza, esattamente come lo vivo, mischiando racconti intensi, intimi, personali, con quelli dei momenti più ilari e goliardici.
Le reazioni, con mio grande piacere, sono sempre positive: le persone si incuriosiscono, fanno domande e cercano di capire, anche quando la cosa è molto distante dal loro immaginario.
Non mi è mai capitato di ottenere una reazione di totale chiusura o demonizzazione, fino ad ora.
Spero che raccontare la mia esperienza sia un modo per cambiare, anche solo di poco, il mondo intorno a me. O almeno di allargare i confini delle persone che incontro. Senza mai smettere di farlo con il sorriso.
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Foto del Signor G