Ecco un nuovo racconto erotico.
E’ ancora una volta Francis Sperelli a scrivere un suo racconto ftm.
La seconda parte di una storia dedicata alla mascolinità.
Qui trovate il link della prima parte.
Vi auguriamo insieme una buona lettura.
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Quella notte Daniela si assopì sul divano, mentre per me il sonno era stata una chimera.
Il giorno dopo il manager della mia azienda annunciò il taglio del personale: <<Sono mortificata, abbiamo fatto i conti e ci risultano degli esuberi rispetto alla mole di lavoro. So che alcuni di voi sono venuti apposta dall’Italia e sono ancora nel periodo di prova…>> disse, indicando me, <<…non è colpa vostra, ma è solo questione di business. Cercherò comunque di fare il possibile affinché possiate rimanere.>>
Ero scappato dall’Italia per rifarmi una vita e iniziare la terapia ormonale: un numero in più nel bilancio stava mandando tutto a farsi fottere.Daniela cercò di consolarmi come poteva, ma ero già proiettato in aeroporto di ritorno verso la mia famiglia transfobica.
Messo in posizione fetale sul mio letto, cercavo di nascondermi dai mostri della mia testa, sperando che l’angoscia del precariato fosse sufficiente a tenerli lontani.
Una mano mi accarezzo la guancia, passando a solleticarmi il naso: <<Svegliati, coglione.>> mi ordinò una voce con tono di scherno.
Non potevo non riconoscere quella voce: mi alzai di soprassalto e trovai lei. Me. Patrizia.
Indossava un abito rosso che lasciava scoperte le braccia, mentre le gambe erano foderate da leggins in denim. I capelli, lunghi fino alla vita, erano lisci, avevano lo stesso odore del sigarillo che stava fumando. Non c’era che dire: avevo avuto una gloriosa carriera di drag queen.
<<Concordo, molte ragazze trans possono solo sognare la mia avvenenza.>> rispose Patrizia.
Odio quando devo parlare con la vecchia me, non c’è nulla che possa sfuggirle.
<<Non ti ho liberato per vederti agire da perdente.>> aggiunse tagliente, posandomi un’unghia artigliata contro il petto.
<<Nella stanza accanto c’è una donna meravigliosa che vuole darti un po’ di pace e tu la cacci. Avessi avuto più fegato, le sarei saltata addosso già anni fa.>>
<<Domani mi licenziano e tu pensi a trombarti Daniela! Ma sei seria?>><<Tesoro, non sarà certo un orgasmo a fermare il tritacarne capitalista…>> rispose Patrizia, sbuffando una densa nube grigia.
<<…o le cambiali da pagare.>> replicai di rimando, domandandomi se fossi sempre stato fuori dalla realtà.
<<Non posso davvero credere che cambiare genere facesse diventare venali e aridi.>> commentò lei acida, <<Non posso accettare che trent’anni di dolore mi avrebbero fatto diventare come sei tu oggi: pieno di angosce, perennemente fermo e instabile e a inseguire la felicità per poi rimandarla appena ti si presenta.>>
<<Va bene, facciamo pure finta che domani mi salvo e non devo preoccuparmi del posto di lavoro…>> risposi, allargando le braccia, <<Pensavo che abbandonare le apparenze per diventare chi sono davvero fosse la risposta a tutto. E invece no: mi trovo in un fottuto inferno, la gente non mi prende sul serio e mi tratta da donna, non ho ancora accesso al testosterone e non sopporto questi due tumori al petto, provo vergogna a toccarmi e…>>
<<E quindi sarebbe colpa mia se il corpo ha quindici centimetri in meno?>> domandò Patrizia con le braccia conserte e lo sguardo di chi ha appena subito uno schiaffone.
<<No…ma vorrei smettere di sentirmi falso, un bugiardo, uno scherzo della natura.>>
<<Credi che io, invece, quando mi truccavo pesantemente e tenevo i capelli lunghi cercando di accontentare mamma e papà che volevano una figlia perfetta, fossi sincera?>>
Ricordai il buio in cui ero stato nascosto per anni nel cuore di Patrizia, prima che le mie urla fossero ascoltate e decidessi che era giunto il momento della transizione. Allora credevo di essere libero, ma non mi conoscevo. Ero solo entrato in una trappola più grande, dove la società giudica, premia le persone transgender solo se rinunciano al piacere dei corpi a loro assegnati.
Volevo davvero avere il pene, sborrare dentro il corpo altrui, marcare il territorio, sentire un palato o un ano stringersi attorno. Invece, potevo raccogliere il piacere degli altri, avvertire una scarica elettrica che anziché distruggere faceva nascere. Un parto al contrario.
<<Temi che provando un piacere femminile non proverai mai al mondo di essere un uomo. Guarda me: ho tentato per anni di stare al mio posto e comportarmi come tutti si aspettavano dalle mie apparenze. E per poco entrambi non siamo volati dal tredicesimo piano di casa nostra.>> concluse Patrizia con amarezza.
<<Vorrei solo che avere il pene non fosse l’unica scelta che ho per diventare completamente uomo.>>
<<Non lo diventi, lo sei sempre stato. Non credi che sia arrivato il momento di avere un po’ di pace…>>
Patrizia mi abbracciò così forte da spezzarmi, avevo dimenticato cosa volesse dire volersi bene. Ero stanco di sentirmi eternamente a metà, disconnesso dal mio corpo. <<Mi ha fatto piacere rincontrarti, so che entrambi saremo davvero liberi.>> mi disse baciandomi sulle labbra.
Mi svegliai di soprassalto, la stanza era vuota. In mano tenevo ancora il regalo di Daniela.
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Sentivo la vita pulsare fin dentro il buio del sangue, era arrivato il momento di fare pace con me stesso e smettere di rimandare la felicità.
Il basso ventre gridava, ero in ansia perché stavo prendendo il rischio di sentirmi comunque me stesso nonostante il mio corpo non conforme. Non mi ero mai sentito così vivo.
Dopo essermi abbracciato a lungo inumidii il giocattolo con la mia stessa saliva e abbassai con delicatezza i boxer. Ero eccitato.
Provai la vertigine della prima volta.
La disforia non ritardò a reclamare il suo prezzo di vergogna e rabbia, ma riuscii a respingerla via in un angolo remoto della mia testa.
Infilai il giocattolo sul clitoride pulsante e lo ruotai. Il bacio del silicone avvolse il mio secondo cuore nel vuoto pneumatico, succhiandolo.
Nella stanza proruppe l’urlo strozzato di una bestia estatica. Mugolii ringhianti fiorirono dalle labbra, mentre tiravo avanti e indietro il giocattolo.
La prigione che io stesso mi ero costruito stava crollando sotto la furia dei miei singulti.
Stavo correndo troppo veloce perché il mostro che aveva rovinato la mia vita potesse riprendermi.
Volevo essere toccato, baciato, abbracciato, morso, leccato, una parata di anime e carni danzanti esplose dietro le mie palpebre socchiuse, mentre la mia mano si muoveva sempre più frenetica: il collega dall’altezza vertiginosa e le mani grandi, il ragazzo dagli occhi all’ingiù e il piercing al labbro, la collega dagli occhi profondi come il mare e il sorriso sbilenco, poi Daniela a braccia spalancate in un letto di rose.
Infine, lei, Patrizia, nuda come ero stato un tempo, si avvinghiò in un ultimo bacio prima di annegare entrambi nello stesso mare.
Ero libero nel più grande atto di amore verso la donna che sono stato.
La vita mi aveva investito nel pieno della sua meravigliosa violenza e provai finalmente pace.
Ero stremato e frastornato dall’estasi, quando sbucò all’improvviso Daniela nella mia stanza.
Sorrideva maliziosa: <<Hai apprezzato il mio regalo, ti ho sentito gemere per mezz’ora.>>
Si mordeva il labbro, una spalla bianca spuntava dalla camicia da notte.
Le feci segno di sdraiarsi accanto a me. Non avevo più nulla da perdere.
Love yourself hard.