Questo nuovo articolo nasce a seguito della diretta IG che ho fatto con Mysecretcase qualche settimana fa dove parlando con la dottoressa Vittoria Bottelli abbiamo tirato fuori l’argomento sofferenza.
La diretta era dedicata al bondage e quindi abbiamo parlato di bondage in generale, di shibari e kinbaku, di sensazioni…
La domanda su cui ci siamo soffermate di più, e questo mi ha fatto molto piacere, è stata quella sul dolore e sulla sofferenza. Abbiamo infatti più volte ripreso il discorso nell’arco dell’ora di chiacchierata.
Sono molto contenta della conversazione su questo argomento perché è sempre molto difficile da trattare, da spiegare, in particolar modo a chi non sa nulla di sadomaso o di bondage in generale.
Dolore e sofferenza sono due cose diverse ma molto simili.
Possiamo ridurre a:
Dolore = Sensazione sgradevole, diffusa o localizzata, che si sussegue a una o più stimolazioni di particolari ricettori sensitivi da parte di agenti di varia natura e intensità.
Esempio il mignolino che picchia nello spigolo.
Sofferenza = Condizione tormentosa provocata dall’assiduità del dolore.
Esempio una tormenta di neve che ci impedisce di uscire di casa, lasciandoci accettare lo stato della cosa.
Il titolo di questo articolo è ironico
La parola Sofferenza oggi viene vista come qualcosa da cui fuggire, qualcosa che non vorremmo mai incontrare nella nostra vita, qualcosa che se ci capita è meglio allontanare.
Si cerca sempre di non nominarla o di screditarla… eppure non possiamo fingere che non esista.
Accettare la sofferenza significa essere consapevoli che fa parte della vita dell’essere umano e anzi spesso è cruciale per la crescita, per la rinascita e per la creatività.
Il mondo dell’arte e la sofferenza
Impossibile non citare uno dei casi più famosi che riguardano l’arte e la sofferenza: Vincent Van Gogh. La sofferenza di alcuni momenti della sua vita lo hanno reso il genio artistico che molti di noi oggi riconoscono in lui.
Come Van Gogh in realtà tutti i grandi artisti che nelle epoche si sono susseguiti, come Caravaggio e Michelangelo, hanno vissuto grandi momenti di sofferenza.
Vite travagliate, continue fughe, amori incompresi, blocchi da artista, problemi economici e di salute… sofferenza sotto molti aspetti, eppure li conosciamo come i grandi maestri d’arte.
Il sesso e la sofferenza

Il sesso in se è piacere: endorfina, adrenalina, dopamina si susseguono regalandoci sensazioni che identifichiamo come belle, piacevoli, rilassanti.
Non dimentichiamoci però che molta gente, più di quanta potete immaginarne, associa a queste sensazioni belle, piacevoli e rilassanti alla sofferenza/dolore fisico.
Alcune persone addirittura le associano al dolore e alla sofferenza psicologica.
Nel sesso l’aspetto “violento”, inteso come positivo è ancora un tabù, molta gente nega che un certo tipo di violenza possa piacere, puntando spesso anche il dito. Non a caso il sadomaso per anni è stato classificato come qualcosa per malati.
Il punto sta anche nel fatto che la gente vede il significato di una parola solo come preferisce vederlo e quindi associa la parola violenza solo a qualcosa di negativo, quando invece bisognerebbe vedere un po’ i background della situazione in cui la parola stessa viene utilizzata.
Il contesto è molto importante.
Ma analizziamo la parola sofferenza per oggi partendo dal bondage, vi prometto che sfioreremo molti più argomenti, anche scientifici.
Sofferenza e Kinbaku
Il kinbaku è una rappresentazione perfetta dell’unione tra erotismo e sofferenza.
Se riflettiamo un po’ sulle immagini che noi associamo all’erotismo, spesso l’espressione dei volti è completamente in estasi, non è contratta ma rilassata, è completamente sfatta non rigida.
Nelle due foto ci sono proprio le espressioni di cui parlo.
A sinistra una delle foto più rappresentative del bondage giapponese, Ito Seiu, a sinistra un dipinto di Andrea Mantegna.
L’espressione è la medesima, accettazione.
Nel primo caso la donna accetta il suo destino, nel secondo caso l’uomo, San Sebastiano, accetta la sua condizione.
Arte, sesso, erotismo
Dall’autobiografia di S.Teresa (vita, cap.29)
Piacque a Dio favorirmi con la seguente visione. Un cherubino teneva in mano un lungo dardo d’oro, sulla cui punta di ferro, sembrava avere un pò di fuoco. Pareva che me lo configgesse a più riprese a più riprese nel cuore, cacciandomelo dentro fino alle viscere, che poi mi sembrava strappar fuori quando ritirava il dardo, lasciandomi avvolta in una fornace d’amore. Lo spasimo della ferita era così vivo che mi faceva uscire nei gemiti, ma insieme pure tanto dolce da impedirmi di desiderarne la fine, e di cercare altro diversivo fuori che in Dio.
Quando ero in questo stato andavo come fuori di me. Non volevo vedere, né parlare con alcuno, ma starmene sola con il mio tormento che mi pareva la gioia più grande di quante ve ne fossero nel creato.

Conoscerete sicuramente la Statua del Bernini in cui Santa Teresa è colta nel suo momento d’estasi, il momento che vedete citato qui sopra.
L’espressione della Santa è da sempre sotto analisi di artisti, scienziati e curiosi di ogni tipo e molti si chiedono come mai l’espressione di un tale momento, quindi un attimo di dolore, sia simile al momento di piacere.
Il piacere e il cervello
Per svariati anni sono stati fatti studi con risonanze magnetiche e pare che sia consolidato che la rappresentazione del dolore nel cervello è in un’area molto vicina a quella del piacere, quindi quando si attiva la parte del dolore, specialmente quando si immagina una situazione estrema, si attiva anche quella del piacere.
L’espressione dei Martiri
In generale i volti occupano una posizione molto privilegiata nella percezione visiva, così come i corpi. Ciò non ci deve sorprende vista la loro importanza, considerato che ci permettono di riconoscere un individuo, quindi la sua identità ma anche il suo stato emotivo in un dato momento.
La letteratura sul tema della percezione del viso è piuttosto voluminosa e quella sulla percezione del corpo tende anche lei a diventare sempre più importante.
Se volete conoscere meglio questo argomento c’è un’interessante articolo che mi è stato consigliato da un follower.
L’espressione sfatta… eccovi uno dei motivi per cui ci piace.
Sempre parlando di espressione c’è un primissimo capitolo di un libro che sto leggendo adesso Di[zion]ario erotico di Massimo Fini che parla del volto sfatto di una donna. L’autore cita per altro Georges Bataille che in L’erotismo scrive:
La bellezza (l’umanità) di una donna concorre a rendere sensibile – e sconvolgente – l’animalità dell’atto sessuale. Nulla di più deprimente, per un uomo, della bruttezza di una donna sulla quale la laidezza degli organi sessuali e dell’atto non risalti. La bellezza conta in primo luogo perché la bruttezza non può essere sciupata. Laddove l’essenza dell’erotismo risiede appunto della profanazione.
Georges Bataille
Come dice Massimo Fini la donna è un soggetto erotico non perché ha un sesso in quanto tale ma perché attraverso la sua sessualità la si può ricondurre allo stato animale.
Mi ritrovo molto nelle sue parole, io stessa amo il disfacimento, il profanare qualcosa di dolce, bello e delicato. Penso sia per questo che mi piacciono anche le donne.
Ovviamente non è così per chiunque… il libro viene sconsigliato dall’autore stesso alle femministe e a chi è debole di stomaco per cui vi avviso anche io.
La moda va di moda
Diversi studi scientifici hanno dimostrato che ci piace ciò che vediamo con una certa frequenza, ecco perché le mode vanno di moda… inizialmente magari alcuni abiti tendono a non piacerci ma finiscono per essere da noi apprezzati. Questo accade proprio perché iniziamo a vedere il nuovo tipo di abbigliamento più spesso in giro.
Ovviamente non è per tutti così, ma mediamente accade proprio in questo modo.
Questo succede anche nell’erotismo. Tendiamo quindi piano piano ad apprezzare sempre di più quello che ci è familiare.
Riconosciamo quindi nel volto di Santa Teresa D’Avila di Bernini, nei San Sebastiano e in tutte quelle immagini e foto con espressioni simili, una certa familiarità con le espressioni correlate al momento dell’orgasmo o del piacere.
Accettazione, questa sconosciuta!

Ho parlato di accettazione a inizio articolo, la Canestra di Frutta di Caravaggio è la più grande rappresentazione della caducità della vita: la vanitas.
La vanitas, in pittura, è una natura morta con elementi simbolici allusivi al tema della caducità della vita. Il nome deriva dalla frase biblica vanitas vanitatum et omnia vanitas e, come il memento mori, è un ammonimento all’effimera condizione dell’esistenza.

Il memento mori, ovvero Ricordati che devi morire, è la costante della natura umana e quando soffriamo ci avviciniamo alla circostanza più simile che ci avvicina alla morte, alla fine.
La frase trae origine da una particolare usanza tipica dell’antica Roma: quando un generale rientrava nella città dopo un trionfo bellico e sfilando nelle strade raccoglieva gli onori che gli venivano tributati dalla folla, correva il rischio di essere sopraffatto dalla superbia e dalle manie di grandezza. Per evitare che ciò accadesse qualcuno, alle sue spalle, gli pronunciava la frase: “Respice post te. Hominem te memento” (“Guarda dietro a te. Ricordati che sei un uomo”).
Durante l’orgasmo il nostro cervello è confuso, tanto quanto lo è vicino al dolore e questo abbiamo visto che è possibile per via delle due aree del cervello che sono molto vicine.
Quando il corpo umano subisce stress estremi produce in risposta delle molecole chiamate endorfine che sono chimicamente simili alla morfina, queste inducono uno stato di benessere assoluto. Si tratta di un fenomeno ben noto, che è stato riscontrato in casi che vanno dai maratoneti esausti ai soldati feriti in guerra, dai mistici assorti in rituali di mortificazione corporale a chi è amante del sadomaso.
Nel corso dei secoli lo stato d’estasi prodotto dalle endorfine è stato definito ‘kensho’, ‘illuminazione’, ‘parlare con dio’, ‘transverberazione’, ‘indiamento’ e in molti altri modi assolutamente nobili e rispettati.
Non stupitevi quindi se guardando un’opera d’arte penserete che il/i/le protagoniste/i/a stia godendosela.
Forse sì, forse no, forse ha accettato la sua condizione, forse ama il dolore, chi lo sa, sappiate però che non c’è una risposta realmente giusta o sbagliata, potrebbe essere entrambe le cose.