Esiste un termine generale che racchiude sotto di se le diverse attività che prevedono lo scambio di servizi sessuali con denaro o beni: Il sex work.
Comprende situazioni come la prostituzione, il porno, la vendita di contenuti online sessualmente espliciti o situazioni in cui comunque l’erotismo, il sesso e la sessualità sono evidenti.
Il o la sex worker sono coloro che vendono servizi live, in cam o di varia natura sessuale, chi fa porno, chi vende contenuti on line come foto o appunto come cam girl/boy e comprende anche quelle persone che gestiscono il settore.
Ma la definizione dipende anche un po’ dallo Stato in cui si è, poiché ciò che rientra nel termine varia.
Tra i sex workers, in qualche stato, troviamo anche chi balla in maniera sessualmente esplicita per un pubblico: spogliarellisti/e, go-go dancers, lap dancers, neo-burlesque performers e i famosi pip-show.
Anche io con il personaggio Tenshiko, rientro perfettamente nella categoria, facendo spesso show legati alla sfera dell’erotismo!
Esistono anche gli operatori sessuali telefonici, ormai sempre meno diffusi.
Insomma il termine indica non solo l’attività di prostituzione ma può essere riferito a molteplici attività, a tutte quelle in cui, dietro retribuzione, si usano la sessualità e l’immaginario erotico a scopi ricreativi e di intrattenimento, in spazi reali o virtuali.
Si chiamano perciò lavoratrici e lavoratori sessuali coloro che svolgono professioni connesse al mercato del sesso.
In alcuni stati vengono definiti/e sex workers anche chi si impegna direttamente in attività sessuali come i tester di sex toy, i manager di strip club, blogger ecc, ma non è dappertutto così (non in Italia ad esempio).
Sempre in alcuni stati vengono definiti sex worker anche fotografi erotici, chi gira e monta materiale per adulti, chi fa revisioni dei porno.
Perché ho deciso di mettere un immagine con scritto change come copertina questo articolo?
Perché spero in un cambiamento cultura riguardo a questo tema, perché purtroppo ad oggi i/le sex workers non sono ancora visti di buon occhio e vi racconterò un po’ i motivi.
Il termine
E’ un termine molto moderno, lo si utilizza in Italia da pochissimo e da poco più tempo nel resto d’Europa, ma stiamo comunque parlando di qualcosa che è sempre esistito.
In Italia il termine nasce in seguito alla crescita di consapevolezza rispetto ai diritti di lavoratrici e lavoratori del sesso.
Il termine compare in alcuni documenti che affermano i diritti delle lavoratrici e delle lavoratori del sesso, come il Sex Workers in Europe Manifesto e la Dichiarazione dei diritti delle/i sex workers in Europa, firmata a Bruxelles nel 2005 da rappresentanti di organizzazioni di 30 paesi.
Nel tentativo di chiarire ulteriormente il termine generale che indica i sex workers, John E. Exner, psicologo americano, ha creato con i suoi colleghi cinque classi distinte per classificare chi si prostituisce.
L’ articolo accademico specifica le classi così:
Specifically, the authors articulated Class I, or the upper class of the profession, consisting of call girls; Class II was referred to as the middle class, consisting of ‘in-house girls’ who typically work in an establishment on a commission basis; Class III, the lower middle class, were ‘streetwalkers’ whose fees and place of work fluctuate considerably; Class IV sex workers have been known as ‘commuter housewives’, and they are typically involved in sex work to supplement family income; and Class V consists of ‘streetwalker addicts’, or ‘drugs-for-sex streetwalkers’ who are considered the lower class of the profession.
Burnes, Theodore R. (2017). “Sex Work”. In Nadal, Kevin L. (ed.). The SAGE Encyclopedia of Psychology and Gender. SAGE Publications, Inc. pp. 1467–1470.
Non tutti/e i sex workers lo fanno per disperazione! Sapevatelo.
Bisogna fuggire da questa idea che la prostituzione sia per molti/e l’ultima strada, l’ultimo modo per guadagnarsi da vivere.
Partiamo dal presupposto, intanto, che prostituirsi non è per forza l’ultima spiaggia e/o una cosa orribile dalla quale scappare.
E’ uno dei tanti lavori che si può scegliere di fare.
L’errore comune è quello di pensare che sia una cosa che si sceglie quando non si hanno altre possibilità. Così facendo si sminuisce la categoria che invece ha molte sfaccettature e al giorno d’oggi anche un mercato che sta diventando sempre più vario.
Le motivazioni di chi si dedica al sex work variano moltissimo e possono anche includere situazioni poco piacevoli come debito, coercizione, sopravvivenza o semplicemente il guadagnarsi da vivere, è vero ma c’è chi intraprende la strada per una questione di emancipazione sessuale, piacere personale, dedizione…
Ogni lavoro oggi può essere una scelta nel bene e nel male, non ha senso condannare a priori!
Uno studio canadese ha scoperto che un quarto delle prostitute intervistate ha iniziato il sex work perché lo trova “attraente” e anche l’esibizionismo ha la sua buona importanza nella scelta di questo lavoro.
Cosa c’è di male in questo?
A parer mio il solo pensare che sia impossibile che possa davvero piacere.
Una/un sex worker ha oggettivamente molte possibilità di gestire il proprio business in maniera flessibile, ad esempio può scegliere le ore di lavoro e la possibilità di selezionare la propria base di clienti.
Oggi in Italia la situazione è ancora abbastanza ferma, non esistono case o luoghi adatti e creati ad hoc per la situazione, per cui è molto facile cadere anche in situazioni spiacevoli e poco tutelate.
E’ ancora molto difficile oggi ottenere informazioni demografiche sul sex work, poiché molti paesi o città hanno leggi che vietano la prostituzione. Inoltre, non è possibile tracciare il lavoro forzato riguardo il sesso. In generale poi chi si prostituisce crea una buona e forte rete di privacy attorno.
p.s. in Italia non è illegale, anche se pare sia diffusa l’idea che sia così. Lo sottolineo proprio perché di recente mi è stata posta la domanda più e più volte.
Il lato peggiore del sesso
Purtroppo esiste una grande fetta di persone che intraprendono il sex work come ultima spiaggia e davvero come lavoro forzato.
In questo caso per altro c’è un grande aumento di probabilità che un sex worker contragga l’HIV / AIDS o un’altra infezione a trasmissione sessuale, in particolare quando aumenta il valore dell’atto in se in base a quanto meno ci si protegge. Esiste purtroppo una grande richiesta da parte dei/delle clienti di non utilizzare alcuna precauzione.
In aggiunta un’altra faccia della medaglia è quella dell’inganno da parte di chi sfrutta chi fa sex work… molte volte dopo aver convinto una persona a prostituirsi per la loro sopravvivenza, per un debito ecc viene detto loro che successivamente saranno persone libere e potranno guadagnarsi da vivere in autonomia, ma il più delle volte questo non accade. Inoltre molta gente costretta a intraprendere questo lavoro subisce violenze da chi le/i mette sul mercato.
Discriminazione
I/le sex worker vengono spesso stereotipati/e come persone devianti e deviate, ipersessuali, sessualmente rischiose e offensive.
Una cosa che accomuna chi fa sex work è la discriminazione causata dallo stigma che si porta dietro, ciò porta a un peggioramento delle condizioni lavorative, ma anche a vere e proprie violenze.
Spesso queste persone devono nascondere il loro lavoro per questioni di discriminazione appunto, poiché potrebbero essere mal viste da chiunque a causa della nomea che questo lavoro si porta dietro a seguito della poca cultura e informazione che viene fatta a riguardo.
Spesso tutto ciò porta verso situazioni di stupro e a una forma di vergogna verso il proprio lavoro.
Le violenze a danno di chi fa sex work sono spesso sottovalutate delle autorità che tendono a sminuire la portata della violenza a causa dell’opinione pubblica, per altro a subire queste violenze ci sono molte persone straniere, gay e/o transgender.
In Italia, dove la legge si occupa di sex work inteso SOLO (o quasi) come prostituzione, funziona come per molte leggi, ovvero in maniera interpretabile: se si è maggiorenni non è illegale, lo è però lo sfruttamento e il favoreggiamento, che sicuramente vanno a tutela di molte situazioni, ma come leggi sono molto borderline.
La legge non tutela dalla mancanza di cervello altrui
Nella maggior parte dei paesi, anche quelli in cui il sex work è legale, chi fa questo lavoro viene spesso stigmatizzato/a ed emarginata/o, il che può impedire loro di cercare un ricorso legale per discriminazione, mancato pagamento da parte di un cliente, aggressione o stupro.
In molto paesi il sex work, inteso come prostituzione, è illegale, mentre declinazioni come porno, strip club e simili sono legali e stati in cui è al contrario.
In Nuova Zelanda, ad esempio, la pornografia, la prostituzione e tutte le professioni comprese sotto l’ombrello del sex work sono tutti legali, esistono delle leggi e regolamenti che garantiscono sicurezza e protezione. Ad esempio nel Prostitution Reform Act ci sono indicazioni dettagliate per cui apre un bordello con più di quattro prostitute. Chi lavora in questi locali gestiti ha accesso ai diritti del lavoro e alla protezione dei diritti umani e possono presentare ricorso dinanzi al tribunale, come qualsiasi altro lavoratore o dipendente.
Il punto più grosso della non chiara regolamentazione in molti stati, tra cui l’Italia, crea un circolo vizioso per cui non solo i sex worker non hanno praticamente grandi diritti, ma in più spesso vengono emarginati.
Tutto ciò non solo porta a un grande rischio per chi fa sex work, ma anche per chi ne usufruisce, non solo dal punto di vista della saluta ma anche dal punto di vista legale.
rischi per la salute in questo genere di lavoro riguardano principalmente le infezioni a trasmissione sessuale e il consumo di droghe.
Non esistono delle regolamentazioni riguardo la salute di questo genere di lavoratori, e la non tutela loro non tutela nemmeno i/le clienti.
Da aggiungere il fatto che tante le persone nascondono il loro stile di vita agli amici e alla famiglia, non avendo così il minimo supporto.
Inoltre, lo stress creato dal nascondesi influisce sulla salute mentale.
Sarebbe utile lavorare per normalizzare il sex work, validando queste tipologia di lavoro, ma sembra che la strada sia ancora molto molto lunga e tortuosa.
Essere aperti e consapevoli consentirebbe la creazione di un sistema normalizzato a 360 gradi.
Magari tra molti (spero pochi) anni, arriveremo a dire “sono una sex worker” esattamente come “sono una giornalista” ma credo che il peso che ci porteremmo dietro sarebbe ancora grosso.
Oggi c’è un grande attivismo a riguardo e spero che porti presto i suoi frutti.