Oggi se si sente la parola censura si pensa subito ai social, perché tutto passa da li, a volte ancora prima che su canali più ufficiali.
Esistono varie tipologie di censura e soprattutto negli ultimi anni si parla in particolare di libertà di parola.
Non è questo però l’argomento che voglio affrontare con questo articolo, preferisco fare un passo indietro e “limitami” alla censura che c’è oggi attorno ai social, in particolare a quella che riguarda i corpi.
Tra il blog e ig ultimamente ho scritto spesso del corpo, sia citando personaggi storici e non, sia scrivendo appunto un articolo.
Instagram e Facebook
Leggendo le linee guida dei due più grandi social, sembra quasi che si facciano paladini della libertà di espressione, definendosi piattaforme per creare community che promuovano lo scambio di punti di vista.
Pare però che alcune tipologie di forma di comunicazione e di aggregazione non vadano bene… un esempio su tutti il nudo.
Innanzitutto non bisogna sempre pensare al nudo come qualcosa di scabroso, di base è questo concetto qui che cozza un po’ con la morale e di conseguenza con social con base in Usa.
Non è infatti possibile postare foto, video o in generale contenuti creati con strumenti digitali dove ci sono riferimenti, l’algoritmo (non ci sono dietro persone a decidere cosa lasciare o meno, quanto meno per un primo step) potrebbe comunque segnalarle (come successo con le opere del Museo Canova e con il Musée d’Orsay con L’Origine du monde di Gustave Courbet).
Ma non è solo un corpo nudo a essere spesso censurato e del tutto bannato dai social, anche molte parole non sono accettate, motivo per cui vengono eliminate con conseguente rimozione di post e storie.
Molta gente infatti, io per prima, utilizza spesso gli asterischi al posto si una lettera per evitare che ig capisca che stiamo parlando, ad esempio, di sesso anale, perché ohmmioddio poi la gente chissà cosa penserà.
Il grande problema della censura è la cultura e molto probabilmente anche il fatto che se dovessero del tutto eliminarla, molta gente non capirebbe comunque il valore di un corpo nudo, del sesso, della divulgazione.
Sono certa che molta gente si spingere a postare cose poco consone, poco consone non solo a semplici linee guida, ma al concetto di libertà di molte persone, soprattutto nel rispetto dei bambini.
Ogni cosa ha chiaramente un peso e quando si parla di libertà i pesi sono molto molto grossi e pesanti.
Il corpo sessualizzato
In generale, come già detto, è sbagliato vedere un corpo solo come sessuale, non che ci sia un errore in questo, il corpo è anche sesso non nascondiamoci dietro un dito, ma non tutti i corpi e i post sono sesso/sessuali/sessualizzabili.
Tutti abbiamo un corpo e lo usiamo in diversi modi e per tante cose differenti, sesso e seduzione sono solo una parte.
Un altro caso recente di rimozione di foto di “nudo” (che poi si parlava di intimo), è stato con un noto brand, forse intimissimi.
Ma non è solo la pubblicità che mostra corpi seminudi.
Oggi il corpo nudo o seminudo viene utilizzato anche per fare divulgazione scientifica, perché, non vorrei dirvelo, ma sotto i vestiti siamo tutti nudi e tutti uguali! e in particolare in ambito clinico siamo simili.
La nudità può essere usata come messaggio per divulgare, come forma di protesta, per prendere posizione, come forma d’arte, come scelta politica…
Come ho già specificato nel articolo Il valore di un corpo, il nostro corpo è una sorta di tempio, un contenitore, una parte dell’espressione di quello che siamo e che vogliamo mostrare, è il nostro biglietto da visita essendo il primo impatto con le persone. Molto probabilmente è un po’ per questo motivo che subisce costantemente giudizi e pregiudizi.
Le guerre dei social

Oggi la censura è uno dei soggetti principali delle guerre nei social.
Il capezzolo femminile, il solito intergluteo, la vagina e il pene sempre coperti da blur, pixel, X di varia natura per coprirli.
Questa cosa ha di per se fascino ma da il via a continue guerre aperte con le varie app che ci permettono di esibirci.
Ma la censura non è una cosa nuova, è figlia di ogni epoca e di moltissime culture… ricordiamoci gli affreschi della parete dietro l’altare della Cappella Sistina, una delle più grandiose rappresentazioni dell’evento dell’ultima venuta alla fine dei tempi del Cristo per inaugurare il Regno di Dio, nonché uno dei più grandi capolavori dell’arte occidentale, opera di Michelangelo Buonarroti.
Era il 1564 e la Congregazione del Concilio di Trento dispose la copertura di ogni oscenità nel Giudizio.
La censura avvenne poco dopo la morte di Michelangelo nel 1565, per mano di Daniele da Volterra, grande ammiratore del maestro, che si limitò a rivestire con panni svolazzanti le nudità di alcune figure, con la tecnica della tempera a secco.
Vi starete forse chiedendo perché il titolo parla anche di Giappone e io sto invece citando Michelangelo…semplicemente lo voglio paragonare a Jun’ichirō Tanizaki, un incontro tra culture e epoche diverse, ma che hanno in comune tra di loro la censura appunto.
Nel caso del primo, forse per sua s-fortuna, la censura è avvenuta dopo, nel caso del secondo la questione è diversa.
E’ anche vero che sono due epoche differenti, due artisti differenti e due culture differenti, ma è interessante paragonare i diversi modi con cui due culture affrontano una argomento molto simile. Nel caso di Michelangelo la censura avvenne anche per mani altrui, mentre Tanizaki fu lui stesso a censurarsi.
Breve parentesi su Tanizaki

Se no conoscete Jun’ichirō Tanizaki vi racconto brevemente la sua storia prima di procedere.
E’ stato uno scrittore giapponese del primo 900.
Influenzato da personalità come Edgar Allan Poe, Baudelaire e Wilde, nei primi anni venti si avvicina alla cultura occidentale che diviene oggetto dei suoi racconti, insieme ai temi legati della bellezza femminile, soprattutto correlata a ossessioni erotiche distruttive.
La sua prima grande opera intitolata Shisei (Il tatuaggio).
Già nelle prime opere si cominciano a delineare i temi che caratterizzeranno i suoi racconti: la figura femminile intrisa di un erotismo decadente, il sadomasochismo e il feticismo.
Dei suoi libri vi consiglio tra tutti In’ei raisan (Libro d’ombra), dove espone in modo chiaro lo stile adottato nei suoi romanzi, lascia che il lettore immagini le caratteristiche dei personaggi e di ciò che sta loro intorno; tutto rimane nell’ombra e, secondo l’autore, è questa disposizione ciò che permette di cogliere la vera essenza delle cose.
(Qualche tempo fa feci proprio una lezione sullo Yugen -ideale estetico giapponese- in cui proprio Tanizaki era fulcro.)
Nel 1964, l’anno prima della sua morte, fu nominato per il premio Nobel per la Letteratura. Diversi suoi racconti hanno ricevuto un adattamento cinematografico: in Italia, Tinto Brass ha realizzato nel 1983 La chiave (Kagi, 1959) e Liliana Cavani, due anni dopo, Interno berlinese (Manji, La croce buddista, 1928-30).
Lavori ritenuti offensivi
Aveva 25 anni, Tanizaki, quando cadde nelle maglie della censura.
Per diversi anni i suoi lavori vennero ritenuti offensivi per la morale e vennero infatti pubblicati con una particolare censura, ovvero con l’utilizzo dei fuseji (simbolini come asterischi o X o cerchietti).
Ciò aveva la particolarità di scatenare la fantasia del lettore che rimpiazzavai fuseji con parole creative e creando storie più personali.
Negli anni 50 la censura cambio formula e chiesero a Tanizaki si inserire le parole originale i nei testi, ma non le ricordava più…
Censura in Giappone, dal 1600 ai giorni d’oggi
Nel periodo Edo (1603 – 1868) lo Shogunato Tokugawa inizia una politica censura per salvaguardare le tradizioni, tutte le pubblicazioni insolite erano quindi tenute sotto esame.
Famose del periodo sono le Shunga che verso la fine del periodo Edo, quando la presenza straniera è diventata situazione comune, anche gli atti sessuali con maschi stranieri sono stati elaborati e venduti, per non parlare di atti con gli animali e demoni. Gli usi reali dello shunga in questo periodo sono ancora dibattuti, ma probabilmente somigliavano agli usi moderni del materiale pornografico, tra cui la masturbazione.
Dopo la Restaurazione Meiji nel 1868, il governo ha posto una grande attenzione verso l’occidente, ponendo la censura su ciò che arrivava dall’estero (porno, libri politici ecc).
Nel 1940 il Dipartimento di informazione e propaganda ottiene il controllo completo su tutte le notizie, pubblicità ed eventi pubblici.
Dopo la resa del Giappone nel 1945, viene abolita ogni forma di censura e tutti i tipi di controlli sulla libertà di parola, MA la censura resiste per la stampa anche nel dopoguerra, in particolare per quanto riguarda la pornografia, alcuni contenuti politici. Nel 1949 nasce la Eirin , acronimo per Eiga rinri kitei, ossia il codice di autoregolamento interno delle pellicole giapponesi che, come i corrispettivi occidentali, doveva badare all’impedimento di rappresentazioni contrarie alle morale pubblica, fra le quali erano ovviamente comprese quelle ad esplicito richiamo sessuale, per evitare L’abbassamento morale degli spettatori.
Con l’inizio del periodo Shōwa (1926 – 1989), il movimento artistico chiamato Ero guro-nansensu da il via a una serie di nuovi generi. Le nuove espressioni sessuali sono state ammesse in romanzi e manga, ma uno stretto controllo è stato applicato a fotografie e filmati.
Fu Play Boy nel secondo dopoguerra a portare la pornografia nuovamente attiva, nasce infatti il feticcio conosciuto come yomono (letteralmente “cose occidentali”).
Negli anni 60 nascono i primi film rosa dove i genitali venivano coperti dai pixel ma i generi erano i più disparati, dopo circa 10 anni entra in gioco anche la Nikkatzu e inizia anche lei a produrre il genere porno.
Oggi chi vende o distribuisce materiale ritenuto osceno può essere punito con sanzioni o con la detenzione.
Mostrare i peli pubici e i genitali degli adulti una volta era tra le cose considerate oscene per cui tutto ciò che raffigura scene di sesso esplicito abitudinariamente vede i genitali dei partecipanti oscurati da pixel.
Il potere del buio, quando la censura crea fascinazione
Un mio amico un giorno mi disse, mentre parlavamo delle sue storie un po’ tristi legate all’amore, che trovo tutto sempre affascinante.
E’ vero, forse esagero anche un po’, ma mi lascio affascinare facilmente.
Anche in alcuni tipi di censura, infatti, trovo fascino.
Mi spiego meglio.
Penso che ci possa essere censura e censura.
Nel primo caso parliamo della censura che fino ad ora ho citato, quindi quel tipo di censura che si pone davanti per ostacolare, per limitare, per oscurare in malo modo. Una censura imposta dall’alto, una censura che sottolinea, anche quando così non è, che c’è qualcosa di sbagliato.
Esiste poi un tipo di censura, quella che definisco fascinosa, che invece paragonerei al vedo non vedo, a tutte quelle situazioni in cui la persona direttamente interessata si autocensura per mostrarsi meno, per creare mistero, per non essere esplicita al fine di non svelarsi del tutto. Un po’ come se fosse un’anteprima di qualcosa.
Jun’ ichiro Tanizaki nel suo Libro d’ombra scrive:
Per cominciare, spegniamo le luci. Poi si vedrà.
E condivido molto questa frase, perché da alcuni tipi di censura (autocensura) si vede quasi di più che con situazioni in cui tutto è limpido, ma la grande differenza è la consapevolezza e la scelta personale, non la scelta altrui di censurare terzi.