Questo racconto è di Lorenza, una follower di Plugthefun.
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Non sono mai stata attirata dalle mie colleghe di lavoro. Ho sempre pensato che le relazioni sul posto di lavoro fossero una cosa da evitare per un sacco di motivi. Come quello della gelosia che si genera all’interno di un gruppo di lavoro dove le persone hanno la tendenza a spettegolare su tutto e tutti. Eppure con lei ho sempre avuto un feeling particolare. Forse perché ne venivamo da esperienze simili, stessa formazione scolastica, stesse passioni sportive, stessa voglia di divertirsi….
Lo sapevo che prima o poi qualcosa sarebbe anche potuto succedere tra noi due ma sapevo anche che lei non era omosessuale. Questa consapevolezza mi ha sempre frenata sia nei pensieri e nelle azioni, quindi non mi aspettavo proprio quell’invito a cena fuori noi due, sole. Poi il dopo cena…
Abbiamo parlato tutta la sera prima al ristorante e poi al piano bar. E’ stata un interessante scambio di vedute, si è parlato soprattutto di noi e dei nostri problemi.
Non è la prima volta che usciamo insieme, ma è la prima che ci ritroviamo tutte e due vestite da sera nel dopocena. I nostri vestiti fanno uno strano contrasto. Io in nero, lei in panna, viste da lontano siamo uno strano effetto cromatico, così sedute al basso tavolino del bar, con le teste che quasi si sfiorano e i due vestiti così in antitesi.
Abbiamo preso un paio di aperitivi, non particolarmente forti ma molto profumati e che lasciano un ottimo sapore fruttato in bocca. Il mio sa di albicocca, il suo, lo scoprirò dopo, di fragola.
La serata sta scorrendo piacevolmente e i nostri discorsi vanno inevitabilmente a cadere sull’intimo. Lei non sa, o perlomeno non è sicura, che io sia lesbica, di me sa solo che ultimamente non ho frequentato nemmeno un solo uomo. Io di lei invece so un sacco di cose. E’ da tempo che vorrei uscire con lei, sono molto attratta sia dal suo modo di pensare che dal suo corpo, statuario, perfetto.
Intanto che parliamo mi scopro sempre più spesso a spiarla di sottecchi, a guardarle la morbida curva del collo, le orecchie così splendidamente esaltate dai lunghi pendenti degli orecchini, il suo volto perfettamente ovale, lo spazio tra i suoi seni, così tanto più grandi dei miei.
Ci confidiamo alcune cose. Scopro che da tempo non ha una storia “seria” con un uomo. Ha un amico a cui tiene molto e che vorrebbe potesse diventare qualcosa di più, è molto confusa.
Marco, così si chiama. Le ha fatto molte proposte ma le ha anche dato alcune fregature difficili da digerire. Il suo atteggiamento non è chiaro ed è molto amareggiata nei confronti di alcuni colleghi che hanno fatto pesanti apprezzamenti su di lei.
– Quei maiali, l’altro giorno mi guardavano il sedere così tanto che sembrava volessero portarmelo via a morsi! –
Inutile dire che c’ero anche io a guardarle il sedere, ma di me non si è accorto nessuno. In questo noi donne siamo decisamente più discrete…
– Non ti curare di loro, sono tutto fumo e niente arrosto, non credo che nessuno avrebbe il coraggio di toccarti. –
Io invece lo avrei eccome il coraggio!
Si fa tardi, l’auto è pronta per venirci a prendere e l’autista ci sta aspettando fuori dal locale.
Usciamo a braccetto e a vederci uscire penso che siano in molti i maschietti che stanno sbavando dietro ai nostri ondeggiamenti accentuati, sia dai vestiti che dalle gambe lunghe e ben tornite che possiamo sfoggiare tutte e due.
Entriamo in macchina, saliamo dietro, sul grande divano posteriore, una vicina all’altra e la macchina parte.
L’autista ha come disposizione di portarci a fare un giro panoramico sulle alture di Genova e si avvia tranquillo su per i bricchi.
Piccola divagazione: a Genova chiamiamo “bricchi” le alture che incorniciano e sovrastano la Superba. Non è un nome dispregiativo, direi più un modo affettuoso che abbiamo noi genovesi per identificare le colline verdi che sono il naturale polmone della nostra bella città.
La strada si dipana sinuosa verso l’alto, verso il Righi e la circonvallazione a monte. A un tratto, per evitare una macchina apparsa come dal nulla da un caruggio laterale, l’auto da una sterzata e fa finire lei praticamente tra le mie braccia.
Subito si risistema con un risolino divertito. Io ho sentito la morbidezza dei suo seno contro di me e ne sono turbata. Tanto anche, mi sembra che si avveri un mio recondito desiderio.
Le curve sono molte per arrivare al Righi e alle sue terrazze panoramiche e cominciamo un gioco da bambine. A ogni curva una va addosso all’altra stringendola tra le braccia, ridiamo come due adolescenti. Lei ha una risata argentina come una cascata di primavera. A me vengono i brividi ogni volta che la sento e ancora di più ogni volta che si stringe contro di me.
Ad ogni curva sento il suo corpo urtare il mio, il suo seno sfiorare la mia pelle i suoi lunghi capelli intrecciarsi con i miei, respiro il profumo intenso di rosa che hanno. Immagino come potrebbe essere passare le mie dita in mezzo a quella profumata massa in costante movimento.
Un ultimo tornante, più accentuato degli altri, lei finisce tra le mie braccia e io contro la portiera. Rimaniamo ferme tutte e due, abbracciate, allacciate in un intreccio di braccia e gambe. Ci guardiamo e per un momento il mondo si ferma intorno a noi, non siamo più nella macchina che sta lentamente salendo verso quegli immensi panorami tra i monti e il mare. Siamo sole io e lei, ognuna stretta tra le braccia dell’altra senza più nient’altro intorno.
Ci fissiamo intensamente negli occhi, i suoi sono verdi, profondi ammalianti. Quante volte mi sono persa pensando a quei suoi occhi, quante volte ho desiderato quel suo sguardo intenso, e ora, lei è li tra le mie braccia e quei suoi occhi è me che stanno guardando.
Potrei perdermi per tutta la vita in quegli occhi….si socchiudono e finalmente riesco a distogliere lo sguardo, sento le sue mani stringermi il vestito. Vedo le sue labbra carnose schiudersi, sento il profumo di fragola del suo alito, mi sento come svenire, socchiudo gli occhi anche io e seguendo il sottile filo del suo respiro, accosto le mie labbra alle sue.
Lei non si ritrae, lascia che le nostre labbra si incontrino dolcemente, naturalmente, la sua testa si piega leggermente di lato consentendomi di spingere più vicino le nostre bocche, le sue mani mi stringono più forte la schiena e i nostri respiri si fondono in uno solo.
La stringo dolcemente anche io beandomi del contatto tra i palmi delle mie mani e la sua schiena coperta dal morbido tubino color panna.
Non so quanto tempo passiamo in quella posizione, senza fare niente altro che tenere le nostre labbra una su quelle dell’altra, un minuto, un ora, forse l’eternità, ma quel momento è destinato a finire, un’altra curva e l’incantesimo si spezza, veniamo sballottate dall’altro lato dell’auto, i nostri corpi, fino ad un secondo prima fusi uno nell’altro, si staccano di colpo, ci guardiamo, sguardi imbarazzati.
– Scusami, ma la macchina… –
Comincia lei ma le parole le muoiono in gola; lo sa, ha capito, lo capisco da come mi guarda, quello sguardo a metà tra l’imbarazzo e il dispiacere, come se fossi malata o comunque diversa.
Si gira e guarda fuori dal finestrino mormorando delle inutili scuse…. Io non capisco più niente, vorrei abbracciarla di nuovo, dirle che è tutto a posto che non mi ha fatto niente, che ci sono abituata….niente, riesco solo a fissare l’adorabile curva del suo collo….Sono una scema!!!!
Andiamo avanti con l’auto fino alla spianata del Righi e proseguiamo su verso il Forte Sperone, la strada è stretta ma le curve sono finite. Ora siamo immersi nel buio più assoluto, l’unica fonte di luce sono i due lunghi fasci proiettati dai fanali dell’auto.
L’autista si ferma nel grande parcheggio affacciato da un lato sul Parco del Peralto e dall’altro sulla valle attraversata dalla A12 e su tutta la parte centrale di Genova.
Scende, la seguo, mi avvicino, vorrei prenderla per mano, invece mi limito a sfiorare con le mie dita le sue, non le ritrae.
Arriviamo fino alla spalletta che delimita il parcheggio dal lato dell’autostrada, lei si appoggia con i gomiti al muretto e guarda oltre, io mi metto vicino a lei nella stessa posizione, nuovamente quella strana antitesi di colori, io quasi invisibile nel nero del mio vestito, illuminato a tratti dalle stelle sugli strass, e lei una bianca apparizione nella notte.
Sento il suo sguardo su di me, non so se girarmi verso di lei o restare ferma, decido per la seconda.
La sento vicino a me, riesco a sentire il suo profumo delicato ma penetrante, sento il ritmo del suo respiro e il rumore assordante del mio cuore che batte a mille, ho quasi paura che lo possa sentire anche lei.
Giro la testa per guardarla, nel buio si intravede solo la sua silhouette stagliarsi contro le massicce mura chiare del forte, il suo nasino, il profilo delle sue dolci labbra, il mento e la sensuale curva della sua gola.
– Perché siamo qui?-
– Dove altro vorresti essere, scusa?-
– Non lo so, non so neanche perché l’ho fatto, ho sempre creduto di essere etero, invece…. –
– Perché? Ti da così fastidio aver baciato un altra donna? –
– Si, no,…. non lo so davvero… –
– Non mi sembra che non ti sia piaciuto…-
– No, si, cioè certo che mi è piaciuto… hai delle labbra fantastiche! –
– E allora dove è il problema? –
– Problema. No, no… non è un problema è solo che….. non lo so, non mi aspettavo, non credevo che tu…. che io….. che noi…… insomma…. Baciami e basta! –
– Non ho intenzione di farlo ancora se non sei convinta, capirò se non mi vuoi più vedere…. ci starò male magari, ma capirò, non è la prima volta e so che non sarà l’ultima….. –
– Non dire cazzate! Io voglio baciarti e non solo quello! –
– Sei sicura? –
– Si…… baciami scema! –
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Questa è la prima parte di 3.
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